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“E quindi abbiamo visto il mare.” Mio papà. Ottantanove anni appena compiuti, la voce roca da un’influenza in arrivo. Siamo seduti sul balcone davanti al mare, lo sguardo fisso davanti a noi.
Mi ha raccontato della sua prima volta: la prima volta che ha visto il mare. Non una gita. Non una vacanza. Una vera, autentica prima volta.
“Non mi rendevo conto di vedere una distesa d’acqua e non vedere il fondo…” Lui, otto anni, che resta lì impalato un quarto d’ora. La nonna incredula che non sa nemmeno più dove si trova “Ma poi non finisce più… e là in fondo ce n’è ancora!”
Che potenza ha, lo stupore. Quello vero. Quello che ti immobilizza, che ti spalanca gli occhi e ti toglie le parole.
Poi mi ha detto questa frase, che mi è rimasta dentro come un seme: “Così all’improvviso metti i piedi nel mare? No, non è mica così semplice.”
E ho sentito una stretta dolce. Perché è vero; non ci avevo mai pensato, ma lasciarsi toccare dalla meraviglia non è affatto semplice.
E mi sono chiesta: io, quando è stata l’ultima volta che mi sono sorpresa fino a non saper più dov’ero? Quando ho lasciato che qualcosa mi attraversasse senza difese? Non lo so, giuro.
E poi ho pensato che, in fondo, nel mio piccolo — e forse senza nemmeno saperlo davvero — ogni giorno provo a ricreare quella stessa meraviglia, lì dove vivo e respiro: tra le pareti di Bookbank. Forse è un filo sottile che mi lega a mio papà, a quel suo saper restare incantato. Forse – spero - un po’ di quel suo stupore mi scorre nel sangue.
Lo faccio quando sistemo i libri con cura, scegliendo dove metterli come se ognuno avesse una storia da raccontare ancora prima di essere aperto. Quando preparo la tavola per il Teatime with Jane, quando incarto gli Appuntamenti al buio, curando le parole da scrivere come se ogni frase dovesse bussare alla porta giusta. Quando preparo i Colibrì, uno per uno in base ai gusti, alle storie, ai desideri di chi li riceverà. Quando creo piccoli oggetti da materiali di recupero, carta vecchia, pagine salvate, perché anche ciò che è rotto può diventare poesia.
Quando sistemo il soppalco per i buoni felicità Una libraia tutta per sé o gli Aperitivi di BB, sperando che quando si salga lì su ci si possa sentire anche solo per un attimo al centro esatto di un tempo speciale. Quando scelgo i libri per la valigia letteraria e scrivo quel piccolo programma di viaggio, come se fosse un invito a salpare.
Non faccio tutto questo solo perché è bello. Lo faccio perché serve. Perché credo che oggi, più che mai, la meraviglia sia una forma di resistenza.
Vorrei che chi entra in Bookbank, anche solo per ripararsi un minuto dalla pioggia o per cercare qualcosa che non sa bene cos’è, possa sentirlo, quel tuffo dentro. Quello stupore (anche piccolo, eh) che ti fa spalancare gli occhi.
Il mio gesto ribelle? Continuare a coltivare meraviglia, contro ogni cinismo. Anche se costa tempo, anche se non sempre si vede, anche se “tanto a cosa serve?”. Soprattutto, perché non è mica così semplice… mettere i piedi nel mare.
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PS: se vuoi ascoltare il racconto di babbo Romano, clicca qui. Avviso per chi non è di Piacenza: alcune frasi sono in dialetto piacentino 😊 (qui sotto dovresti vedere una barra audio, se non la vedi clicca sulla scritta in alto a destra) |